A cura di Guillermo Moreno-Sanz
Il Dr. Guillermo Moreno-Sanz è autore di più di 30 articoli scientifici e 3 brevetti che descrivono il ruolo del sistema endocannabinoide nella percezione del dolore. Laureato in biochimica e chimica organica all'Università di Saragozza, ha ottenuto il suo dottorato in neuroscienze all'Università Complutense di Madrid. Ha acquisito una vasta esperienza internazionale con incarichi a lungo termine nei Paesi Bassi, in Italia e negli Stati Uniti, sviluppando la maggior parte della sua carriera accademica presso l'Università della California, Irvine, dove ha scoperto una nuova classe di analgesici cannabinoidi ad alto potenziale clinico. Nel 2017, è stato consulente della National Academy of Sciences degli Stati Uniti nella preparazione del rapporto "The health effects of cannabis and cannabinoids" ("gli effetti della cannabis e dei cannabinoidi sulla salute") e successivamente ha fondato Abagune Research per offrire consulenza scientifica e soluzioni R&S all'industria internazionale della cannabis. Nel 2020 ha assunto la direzione scientifica e medica di Khiron Life Sciences in Europa.
Incontra gli Esperti è una serie di interviste, condotte da esperti del settore, ai leader mondiali nella ricerca e del uso medico del cannabis.
Il Dr. Robert Laprairie è Professore Associato e Presidente degli istituti di ricerca GlaxoSmithKline-Canadian per la scoperta e lo sviluppo di farmaci presso il College di Farmacia e Nutrizione della università del Saskatchewan, Canada. Robert è anche presidente e direttore della formazione del Canadian Consortium for the Investigation of Cannabinoids (CCIC) e il destinatario del William A. Devane Young Investigator Award 2021 della International Cannabinoid Research Society (ICRS).
Con il suo laboratorio, Robert si è interessato alla farmacologia molecolare dei cannabinoidi per quasi 10 anni e ha pubblicato quasi 50 studi nel campo.
Guillermo Moreno-Sanz: Robert, puoi dirci come hai iniziato a dedicarti alla ricerca sui cannabinoidi? Quali aspetti della fisiologia degli endocannabinoidi ti interessano di più?
Robert Laprairie: Durante il mio Master alla Dalhousie University il mio supervisore mi ha interessato a un progetto che esplorava la regolazione genica del recettore dei cannabinoidi di tipo 1 (CB1R) nel morbo di Huntington. I pazienti con morbo di Huntington perdono circa la metà dei loro CB1R prima che appaiano i sintomi. Noi volevamo capire come e perché succede. Ciò di cui mi sono reso conto all'inizio di questo progetto è quanto il campo della ricerca sui cannabinoidi fosse nuovo, e quante domande di base fossero ancora senza risposta. Il fatto che la ricerca sui cannabinoidi fosse ancora un campo aperto e sconosciuto – la possibilità di fare scoperte – è ciò che mi ha davvero interessato. Le competenze che ho acquisito studiando i recettori dei cannabinoidi sono applicabili anche agli altri due non-cannabinoidi che ora studiamo nel nostro laboratorio: i recettori della serotonina e quelli dell'orexina. Abbiamo intrapreso questi percorsi attraverso collaborazioni che finora si sono rivelate come fantastiche sorprese nella mia carriera.
GM: La vostra ricerca si concentra principalmente sulla farmacologia del recettore dei cannabinoidi 1 (CB1). Quali aspetti specifici di questo target state cercando di chiarire?
RL: Siamo interessati a due aspetti principali della farmacologia del CB1: i modulatori allosterici e la relazione tra struttura e funzione. La maggior parte delle molecole che sono state scoperte e usate come farmaci in passato possono essere considerate come composti "ortosterici" – si legano al recettore nello stesso sito dei loro ligandi endogeni. Il THC nella cannabis, per esempio, è un composto ortosterico perché si lega ai recettori dei cannabinoidi nello stesso sito dell'anandamide. I modulatori "allosterici" ("allo" significa "altro") si legano a qualche altro sito sul recettore, lontano dal sito ortosterico, e quando lo fanno cambiano il recettore rendendolo più efficace (positivo) o meno efficace (negativo) nella segnalazione. Noi e altri pensiamo che i modulatori allosterici potrebbero essere vantaggiosi perché non causano alterazione – come fa il THC – e possono avere una migliore selettività per recettori specifici. La relazione struttura-attività (SAR) è la relazione tra la forma di un farmaco e l'effetto che questo ha sul recettore. Essere in grado di prevedere la causa-effetto di queste interazioni può migliorare la nostra capacità di progettare nuovi farmaci. Quando si progetta un cannabinoide allosterico o ortosterico, si valuta il bias tra diversi segnali del composto come parte della comprensione del SAR di quel potenziale farmaco. Il "biased signaling" fa parte di entrambi questi aspetti. Quando una molecola si lega a un recettore, quel recettore adotta una forma che è specifica per quel particolare farmaco. Queste forme uniche a loro volta promuovono o riducono la capacità di quel recettore di produrre segnali specifici. Questo segnale specifico alla combinazione farmaco-recettore è chiamato "biased signaling". Alcuni segnali sono associati ad effetti negativi dei farmaci e altri segnali possono essere benefici, quindi il biasing di un recettore potrebbe portare a farmaci più sicuri.
GM: Nel 2016, sei stato il primo a descrivere il CBD come un modulatore allosterico negativo (NAM) del CB1. Cos'è un NAM? Come ti è venuta l'idea?
RL: Come ho già detto, un NAM è un composto che si lega su qualche altro sito su un recettore, invece che al sito "principale" o "ortosterico". I NAM possono ridurre la capacità di un recettore di legare composti ortosterici e/o ridurre la capacità di un recettore di essere attivato, ma lo fanno senza competere con il composto ortosterico. Studiando per la prima volta i cannabinoidi in vitro in modelli cellulari del morbo di Huntington, abbiamo notato che, nelle cellule trattate con CBD, il CB1 si spostava verso la membrana del recettore. Questo tipo di risposta è quello che ci si aspetta quando le cellule vengono trattate con un antagonista del recettore. Ma quando abbiamo trattato le cellule con un agonista del recettore combinato con il CBD, l'effetto del CBD non corrispondeva a un tipico antagonista o inibitore. Invece, l'effetto assomigliava di più a quello che altri stavano vedendo per i NAM. Dopo due anni di lavoro, i nostri dati hanno confermato l'ipotesi che il CBD si comporta come un NAM dei recettori CB1 nelle cellule in vitro.
GM: Cosa pensi della ricerca preclinica che è venuta dopo, mirata a caratterizzare l'effetto del CBD sulla segnalazione CB1 mediata dal THC?
RL: Dopo la pubblicazione del nostro lavoro ci sono state molte ricerche su colture cellulari e su animali che hanno esplorato questa idea. Penso che il momento più emozionante per me sia stato quando Ken Mackie e Alex Striker hanno pubblicato dati elettrofisiologici dai neuroni dell'ippocampo che supportavano le nostre osservazioni. Riconosco anche che molte persone stavano vedendo diversi effetti del CBD su molti recettori (ad esempio 5HT-1a) e questo è anche molto importante. Il CBD sembra essere una sostanza promiscua che si lega a molti recettori diversi. Questa promiscuità rende difficile determinare gli effetti del CBD in vivo.
GM: Il tuo lavoro è stato spesso interpretato come una spiegazione plausibile del perché le formulazioni di cannabis contenenti quantità simili di CBD e THC sono tipicamente più tollerabili del solo THC. Pensi che questa sia una semplificazione eccessiva di ciò che accade nella realtà?
RL: Sì! Penso che questa sia una semplificazione eccessiva. Mentre sono d'accordo che i risultati delle nostre colture cellulari possano essere una spiegazione plausibile, penso che ci sono molte possibili spiegazioni degli effetti osservati quando si consumano prodotti che combinano THC e CBD. Ci sono anche dati clinici per alcuni stati patologici che non mostrano un effetto modulatore del CBD. Ora sappiamo che il CBD si lega a molti recettori e che potrebbe anche influenzare la farmacocinetica del THC. I modelli in vitro sono preziosi per comprendere la farmacologia molecolare di un composto, ma bisogna essere cauti nell'estrapolarne l'utilità in un organismo umano vivente.
GM: Pubblicazioni recenti suggeriscono che il CBD può incidere non solo sugli effetti collaterali indesiderati del THC ma anche sulla sua valenza terapeutica, per esempio nel ridurre il dolore neuropatico. Ti sembra una cosa sensata?
RL: Sì, mi sembra una cosa assolutamente sensata: indipendentemente dai meccanismi specifici di azione del CBD, se può incidere sugli effetti negativi del THC, allora incide anche con la sua valenza terapeutica.
GM: Hai continuato a fare ricerca sui ligandi allosterici dei recettori CB1. Pensi che questa classe di composti sia promettente dal punto di vista clinico? Quale pensi che attualmente sia il candidato più avanzato?
RL: Sì, credo che i ligandi allosterici del CB1 abbiano un potenziale terapeutico significativo, in particolare perché i composti che noi e altri abbiamo testato finora non sembrano produrre tolleranza o dipendenza a lungo termine e non sono ovviamente alteranti come lo è il THC. I dati che abbiamo ricavato dai modelli preclinici dell'epilessia sono stati particolarmente promettenti, così come la nostra collaborazione con il Prof. Andrea Hohmann in modelli animali del dolore. Il nostro laboratorio si è storicamente concentrato sui modulatori allosterici positivi (PAM) e, nonostante questi siano ancora nelle prime fasi di sviluppo, alcuni ligandi come GAT591/GAT593 hanno molto potenziale per essere sviluppati ulteriormente. Altri gruppi che esplorano NAM sintetici potrebbero essere più avanti nel proporre composti per i disturbi da abuso di sostanze, il che è anche molto eccitante.
GM: Com'è stata la tua esperienza come ricercatore sui cannabinoidi in Canada? La regolamentazione del mercato per adulti/ricreativo nel 2018 ha influenzato la tua ricerca, in bene o in male?
RL: La mia esperienza in Canada è stata eccellente e penso di dovere molto al sostegno del mio college e dell'università. Il quadro normativo che abbiamo adottato in Canada ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Il vantaggio è che possiamo facilmente procurarci dei prodotti di cannabis identici a quelli che i consumatori medicinali e ricreativi consumano "nel mondo reale", e questo rimane molto impegnativo (se non impossibile) negli Stati Uniti. Lo svantaggio è che gli adempimenti burocratici per ottenere i permessi – in particolare per i miei colleghi clinici – rimangono molto impegnativi e limitanti. Gli uffici degli affari normativi in Canada non sono stati in grado di tenere il passo con l'esplosione della domanda di accesso alla cannabis da parte dei ricercatori, e comunicazioni poco chiare da parte delle agenzie di finanziamento e dell'ente governativo di regolamentazione hanno reso difficile per molti ricercatori navigare nel mutevole panorama normativo della cannabis. Qui all'Università del Saskatchewan sono stato molto fortunato, perché abbiamo una licenza di utilizzo della cannabis che copre l'intera istituzione, e del personale di supporto specifico che è stato assunto per aiutarci a gestire queste pratiche. Penso che la legalizzazione avvenuta in Canada nel 2018 abbia portato molta attenzione dei media sul disperato bisogno di ricerca ed educazione sulla cannabis che, a sua volta, ha anche aumentato i fondi a disposizione dei ricercatori come me per colmare tutte queste importanti lacune nella nostra attuale conoscenza.
GM: Cos'è la Cannabinoid Research Initiative del Saskatchewan e qual è stato il tuo ruolo in essa?
RL: La CRIS è un gruppo di ricerca interdisciplinare con sede nell'Università del Saskatchewan, che mira a riunire i ricercatori su cannabis e cannabinoidi di tutta la provincia. Attualmente, abbiamo quasi 50 membri provenienti da due università e sei diversi college, le cui competenze spaziano dalla regolamentazione, all'agricoltura e alla medicina. Prima della pandemia (e speriamo anche dopo) abbiamo ospitato simposi annuali per comunicare la nostra ricerca e diffondere l'educazione sulla cannabis. Il mio ruolo nella CRIS è stato quello di co-leader del ramo biomedico e di organizzatore dei simposi.
GM: Tu sei il direttore della formazione del Canadian Consortium for the Investigators of Cannabinoids (CCIC). Cos'è il CCIC e com'è stata la tua esperienza con esso?
RL: Il CCIC è un'organizzazione no-profit composta da ricercatori sui cannabinoidi e professionisti della salute. Vogliamo essere una risorsa affidabile per una educazione basata sull'evidenza sugli impatti della cannabis sulla salute, e vogliamo essere l'hub per la ricerca sulla cannabis e sui cannabinoidi di tutto il Canada. I nostri membri includono studenti, ricercatori accademici, medici, farmacisti, infermieri e aziende del settore (anche se le aziende sono membri senza diritto di voto per evitare pregiudizi). In termini di educazione, offriamo (1) una conferenza annuale accreditata di formazione continua medica (CME – quest'anno in forma ibrida virtuale il 21-22 aprile) che fornisce una formazione di base e spunti sui nuovi sviluppi; e (2) il "Canadian Cannabis Syllabus," un corso on-line di 9 moduli completamente accreditato, progettato per gli operatori sanitari al fine di acquisire una ampia conoscenza del sistema endocannabinoide e della cannabis medicinale. Incoraggiamo anche i nostri membri a coinvolgere il pubblico e i caregiver in colloqui e discussioni a livello locale per diffondere l'educazione sulla cannabis medica. Personalmente faccio 3-4 di questi colloqui pubblici all'anno. La mia esperienza con il CCIC è stata fantastica. Come studente di master ho ricevuto una borsa di studio dal CCIC, e ora dirigo il programma di borse di studio dell'organizzazione. Essere in grado di restituire i vantaggi che ho ricevuto distribuendo questi premi ai nuovi tirocinanti è stata la mia parte preferita del lavoro con il CCIC.
GM: Grazie mille, Robert, per aver condiviso con noi le tue esperienze!