A cura di Javier Fernández Ruiz
Javier Fernández Ruiz ha conseguito il dottorato di ricerca in Biologia nel 1986 presso l'Università Complutense di Madrid (UCM). Attualmente è professore presso la Facoltà di Medicina dell'UCM. Da 42 anni si dedica alla ricerca ed è autore di numerosi articoli di ricerca e recensioni, capitoli di libri e brevetti, e relatore presso università, centri di ricerca e convegni. Attualmente è il Principal Investigator del gruppo di ricerca CANNABINOIDES-BBM3 dell'Istituto Universitario di Ricerca in Neurochimica di UCM, CIBERNED e IRYCIS. L'attività principale di questo gruppo è incentrata sullo studio del potenziale terapeutico dei cannabinoidi in diverse malattie neurodegenerative, attività nella quale collabora con diversi gruppi nazionali e internazionali e con diverse aziende farmaceutiche. Come ricercatore principale ha diretto diversi progetti di ricerca nazionali e internazionali. È stato presidente della Società Internazionale di Ricerca sui Cannabinoidi (ICRS) (2002-2003), nonché membro fondatore della Società Spagnola di Ricerca sui Cannabinoidi (SEIC), ricoprendo le cariche di segretario (2000-2007) e presidente (2007-2011). È attualmente membro del comitato editoriale del British Journal of Pharmacology. Negli ultimi anni ha ricevuto svariati riconoscimenti per la sua attività scientifica, tra cui lo "Special Award" dell'International Association for Cannabinoids as Medicines (IACM) nel 2019 e il "Mechoulam Award" dell'ICRS nel 2021.
Cannabinoidi e disturbi neurodegenerativi
Una delle proprietà terapeutiche più promettenti e attualmente più studiate dei cannabinoidi è la loro capacità di preservare i neuroni e le altre cellule neurali dagli stimoli neurotossici che ne danneggiano l'omeostasi, l'integrità e la sopravvivenza durante i processi neurodegenerativi.
Tali benefici neuroprotettivi sono stati riscontrati in numerosi studi condotti negli ultimi 20 anni in modelli preclinici di ictus, traumi cerebrali, lesioni spinali, o in disturbi neurodegenerativi cronici progressivi, come il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica, la corea di Huntington e altre patologie, e infine in alcuni studi clinici, che includono l'uso di cannabis terapeutica, condotti su pazienti affetti da questi disturbi.
Nonostante questi risultati, si prevede che il cammino verso l'approvazione di farmaci a base di cannabinoidi per il trattamento di questi disturbi sarà ancora lungo e richiederà, tra l'altro, l'identificazione dei bersagli migliori per gli effetti neuroprotettivi dei cannabinoidi, lo studio delle loro sinergie - dovuto alla necessità di lavorare con terapie ad ampio spettro - e l'ottimizzazione dei trattamenti a base di cannabinoidi per ciascun disturbo.
In ogni caso, le speranze stimolate dagli attuali dati preclinici e clinici ottenuti sui diversi disturbi neurodegenerativi supportano la necessità di spostare la ricerca verso lo scenario clinico, che risulta essenziale per le seguenti tre ragioni:
- I disturbi neurodegenerativi diventeranno epidemici nel XXI secolo, dato il previsto aumento della popolazione mondiale, e in particolare delle persone di età superiore ai 65 anni, nonché il previsto aumento della durata della vita che darà maggiore visibilità a queste patologie.
- Le attuali terapie neuroprotettive autorizzate per i disturbi neurodegenerativi hanno una disponibilità ed un'efficacia limitate: questo significa che tali patologie sono la principale sfida biomedica per la ricerca traslazionale nel secolo attuale..
- C'è un interesse progressivamente crescente per i cannabinoidi e la cannabis terapeutica per il trattamento di patologie umane, in particolare per quelle in cui gli attuali risultati clinici sono negativi: essi rappresentano una delle nicchie più attraenti per far passare le terapie a base di cannabinoidi/cannabis dall'attuale ricerca preclinica verso lo scenario clinico, e questo è il caso dei disturbi neurodegenerativi.
Il caso della sclerosi laterale amiotrofica
Uno dei disturbi neurodegenerativi più interessanti in termini di progresso nella ricerca sui cannabinoidi è la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Questa malattia, chiamata anche malattia di Lou-Gehrig negli Stati Uniti o Motor Neuron Disease (MND) nel Regno Unito, è un disturbo aggressivo e a rapida progressione con un'incidenza di 1,5-2,7 casi ogni 100.000 persone. Tuttavia, la prognosi dopo la diagnosi di SLA è breve (3-5 anni), il che significa che la prevalenza della SLA è di circa 5,2 casi ogni 100.000 persone. I motoneuroni superiori e inferiori, responsabili del controllo del movimento volontario e cosciente, nonché i muscoli scheletrici controllati dai motoneuroni inferiori, sono i principali bersagli del processo degenerativo della SLA, che si verifica per effetto di una combinazione di diversi insulti neurotossici, riassunti nella figura seguente, e che determina denervazione, debolezza e atrofia muscolare, portando infine alla paralisi e alla morte, spesso per insufficienza respiratoria:
Nel 20% dei pazienti, la malattia ha origine da mutazioni in uno degli oltre 25 genidiversi già identificati come collegati alla SLA. Questi casi sono classificati come SLA familiare (fALS), mentre nel restante 80% dei pazienti la malattia è dovuta a una combinazione di diversi fattori ambientali ed è classificata come SLA sporadica (sALS). L'interessamento predominante dei motoneuroni superiori e inferiori e dei muscoli scheletrici fa sì che i sintomi principali della SLA siano relativi all'atrofia muscolare, tanto che la SLA è stata classicamente considerata come un disturbo motorio prevalentemente associato ad alterazioni del gene che codifica l'enzima antiossidante Superossido dismutasi-1 (SOD-1), il primo gene correlato alla SLA che fu identificato nel 1993. Tuttavia, in contrasto con l'idea classica che la cognizione non sia compromessa nei pazienti di SLA e che essi siano sempre terribilmente consapevoli del loro progressivo e rapido deterioramento, una serie di nuove scoperte, tra cui l'identificazione di alcuni nuovi geni correlati alla SLA che codificano proteine RNA-binding come TAR-DNA-binding protein-43 (TDP-43), Fused in sarcoma (FUS) eChromosome 9 open reading frame 72 (C9orf72), la maggior parte delle quali avvenute all'inizio di questo secolo, hanno modificato l'interpretazione della SLA come semplice disturbo motorio causato da un eccessivo stress ossidativo. Pertanto, a differenza dei pazienti con mutazioni nel gene SOD-1, che sviluppano un fenotipo classico della malattia caratterizzato da difetti motori, i pazienti con mutazioni in TDP-43, FUS, C9orf72 e altri geni identificati recentemente presentano un fenotipo che combina sia problemi motori che cognitivi. La scoperta di questi nuovi geni ha anche promosso un cambiamento nell'interpretazione dei principali eventi patogenetici della SLA, evolvendo dalla visione tradizionale della SLA come un disturbo con un'influenza predominante dello stress ossidativo dovuto a mutazioni nella SOD-1, a nuove visioni che pongono l'accento su difetti del metabolismo dell'RNA dovuti a mutazioni nelle proteine RNA-binding TDP-43, FUS e C9orf72, insieme ad altri geni le cui mutazioni influenzano l'omeostasi proteica. La cronologia di queste scoperte è presentata nella figura successiva, parallelamente alla cronologia dei principali progressi in relazione al potenziale dei cannabinoidi come terapia della SLA, che saranno descritti nei paragrafi seguenti:
Terapie a base di cannabinoidi in fase di sviluppo per la SLA
Nonostante gli sforzi compiuti per sviluppare trattamenti efficaci in grado di alleviare sintomi specifici (ad esempio crampi, spasticità) o di ritardare la progressione della malattia, la SLA non dispone ancora di una terapia efficace. Attualmente, l'agente antieccitante riluzolo (Rilutek®), approvato nel 1995, e il composto antiossidante edaravone (Radicava®), approvato nel 2015 in Giappone, nel 2017 negli Stati Uniti e nel 2018 in Canada, sono gli unici farmaci disponibili per i pazienti, ed entrambi hanno solo effetti modesti sulla progressione della malattia. A causa di queste limitate opzioni terapeutiche, numerosi nuovi composti e altre strategie sono attualmente oggetto di studi preclinici e clinici. Un'opzione interessante è rappresentata dai cannabinoidi, che di recente sono stati proposti come una promettente strategia multitarget per la SLA dati i loro effetti in altre patologie neurodegenerative. Questa proposta deriva dai risultati ottenuti in una serie di studi preclinici consecutivi avviati all'inizio del presente secolo (si veda la figura precedente per una visione cronologica), che sono stati indirizzati a indagare diversi cannabinoidi e i loro effetti neuroprotettivi nella SLA. Il laboratorio di Mary Abood* ha contribuito in modo significativo a questi studi iniziali dimostrando per la prima volta l'efficacia dell'attivazione dei recettori CB1 in un modello in vitro di SLA, studi a cui sono seguiti dati in vivo ottenuti nel classico modello murino con SOD-1 mutante, ma anche in nuovi modelli basati principalmente sulla proteina TDP-43, con diversi tipi di cannabinoidi di origine vegetale o sintetica. Questi esperimenti hanno dimostrato l'importanza di puntare ai recettori CB2 e PPAR-γ. Nel caso dei recettori CB2 , questi studi sono seguiti a ricerche precedenti che hanno dimostrato l'innalzamento dei livelli del recettore CB2 nelle cellule gliali del midollo spinale in pazienti affetti da SLA e in modelli animali, come spiegato nella figura seguente:
In questo senso, gli studi farmacologici (trattamento con agonisti e antagonisti selettivi del recettore CB2 ) e genetici (ablazione del gene del recettore CB2 in studi SLA sperimentali) condotti nel nostro laboratorio utilizzando topi TDP-43 transgenici hanno individuato nel recettore CB2 un importante e promettente bersaglio (da solo o combinato con attivatori CB1 e/o PPAR-γ) per lo sviluppo di una terapia modificante la malattia per la SLA, che ci aspettiamo possa passare allo scenario clinico nei prossimi anni. Nel frattempo, altre iniziative con cannabinoidi sono già arrivate sullo scenario clinico per la SLA, per esempio la sperimentazione clinica condotta in Svizzera con il Δ9-THC per i crampi, che ha riportato alcuni benefici, e le sperimentazioni cliniche più recenti e ancora in corso (MediCabilis e EMERALD) che esplorano i benefici modificanti la malattia di estratti standardizzati di cannabis in coorti di pazienti SLA.
Ci aspettiamo che seguiranno altri studi clinici, inclusi con agonisti selettivi del CB2, con l'obiettivo di autorizzare terapie a base di cannabinoidi per i pazienti affetti da una terribile malattia che al momento non ha cure e ha risultati terapeutici limitati.
*Mary Abood è scomparsa lo scorso febbraio, quindi questa menzione è un omaggio al suo grande contributo al progresso delle terapie con cannabinoidi per i pazienti affetti da SLA